La prima ad esserne sorpresa dev'essere stata proprio lei, Maria. Figuriamoci Giuseppe. Molti pensieri devono aver attraversato la sua mente, ma lui non si scompose. Innanzitutto capì che quella inspiegabile vicenda avrebbe portato serie conseguenze alla sua promessa sposa, che sarebbe stata insultata, forse processata, perfino lapidata. Gli bastò guardarla negli occhi per capire che Maria era rimasta ingenua e pura, non aveva colpe, diceva la verità. Lui non poteva permettere che le accadesse qualcosa di brutto e questo gli bastò per assumersi, di fronte a tutti e anche alla legge, la paternità del bambino che sarebbe nato. Sì, sarebbe stato un padre vero, come se realmente quel figlio fosse suo. E questo significava prendersi cura della famiglia, lavorare per non fare mancare nulla a Maria e al nascituro, proteggerli da qualsiasi imprevisto.
E l'imprevisto si presentò prestissimo, subito dopo la nascita di Gesù. Arrivarono i Re Magi e si recarono da re Erode il Grande per chiedergli dove trovare “il Re dei Giudei” appena venuto al mondo. I sacerdoti dell'epoca indicarono la città di Betlemme ed Erode fu subito preso dal sospetto che quel bambino appena nato potesse minacciare il suo trono. Fu così che ordinò la morte di tutti i bambini sotto i due anni nati in quella zona: una strage!
Giuseppe, da buon padre di famiglia, non poteva esporre Gesù al rischio della vita. E lì progettò una fuga. Raccolse pochissime cose, mise Maria e e il Bambino sulla groppa di un asinello e si avviò verso l'Egitto attraversando il deserto.
Era davvero eroico, quest'uomo. Ve l'immaginate, a quei tempi, lasciare la propria terra e finire in un paese straniero, senza mezzi di sopravvivenza? La leggenda dice che Giuseppe non si perse d'animo. Non potendo fare il falegname, si inventò un nuovo mestiere: si mise a impastare frittelle e a cuocerle su un fuoco di fortuna per venderle ai viandanti…
Ecco, i riferimenti storici finiscono qui, è come un film che si interrompe sul fotogramma di Giuseppe che prepara frittelle. Ed è così che nasce l'immagine di “San Giuseppe frittellaro”, come è venerato a Roma, nel quartiere Trionfale, dove il 19 marzo di ogni anno si fa gran festa, con luminarie nelle strade e fuochi d'artificio.
Viene da chiedersi se è vero che le frittelle si preparavano anche allora, ai tempi di Gesù, Giuseppe e Maria. La risposta è sì. Nell'antica Roma, intorno alla metà di marzo si celebravano le “liberalia”, feste in onore delle divinità del vino e del grano. Vino a fiumi per omaggiare Bacco, mentre per ingraziarsi le divinità del grano si friggevano frittelle di frumento.Per alcuni, il nome zeppola, per esempio, deriva dal latino serpula, cioè serpe, per la sua forma attorcigliata su sé stessa. Per altri deriverebbe da zeppa, quel pezzetto di legno spesso usato in falegnameria. Ed ecco che torna un riferimento al mestiere di San Giuseppe.
E i bignè? Da dove vengono, perché si chiamano così? La parola è una deformazione del termine francese beignet, che significa bugna, bitorzolo o ingobbatura, e sta ad indicare il rigonfiamento prodotto da un colpo ricevuto. Un bernoccolo, insomma. Perché quel piccolo fagotto di pasta dolce, lievitata e ripieno di ogni delizia, somiglia proprio ad un bernoccolo. Ma in Francia vengono chiamati anche choux, perché hanno la forma di piccoli cavoli. Quelli allungati, invece, ricoperti di glassa e ripieni di creme di ogni tipo, i francesi li chiamano éclairs e da noi, soprattutto nel nostro Meridione, sono i bignè. Occorre anche dire che la festa dedicata al padre putativo di Gesù cade in periodo prequaresimale e mangiare ciambelle così ricche di ingredienti grassi costituisce una sostanziosa contrapposizione ai prossimi digiuni che la Quaresima impone.