Ce n'erano di tutti i colori: dal giallo-arancione, al verde, al bianco, al rosso sanguigno. È proprio quest'ultimo colore di ficodindia che suscita e stimola attenzione in Carla. “Lo sai – mi dice – che questo colore è il carminio, lo stesso del rossetto per labbra che usiamo tutte noi? È una tonalità di rosso naturale ricavato dal corpo disseccato di un insetto, la cocciniglia del ficodindia?”
Confesso la mia ignoranza, non lo sapevo. E Carla comincia a sciorinare tutto il suo sapere su questo argomento. Apprendo così che prima dell'avvento dei coloranti sintetici, non esisteva altro modo per procurarsi quella tonalità di rosso, che allevare colonie di insetti che sciamavano intorno alle piante di ficodindia cresciute spontaneamente in territori caldi prossimi al mare. Si catturavano gli insetti, si lasciavano essiccare e se ne ricavava il prezioso carminio. Vedendomi interessato, Carla continua e mi spiega che quelle piante, originarie del Messico, erano arrivate fino a noi molti secoli addietro.
La storia è più o meno questa: alla fine del XV secolo, le caravelle di Cristoforo Colombo, dopo avere attraversato l'oceano, approdarono in terre lontane e selvagge. Quei bravi marinai erano partiti alla ricerca di una via breve per arrivare alle Indie e non avrebbero mai immaginato di essere arrivati invece in un nuovo continente.
Qualcuno ha detto che se a quell’epoca Cristoforo Colombo avesse potuto disporre di un navigatore satellitare tipo Waze, sarebbe arrivato sicuramente alle Indie in minor tempo, ma non avrebbe mai scoperto l'America.
La verità è che, curiosi e affamati dopo tanto viaggiare, i bravi marinai di Colombo non esitarono a cogliere e a mangiare gli strani frutti che piante e alberi mai visti prima mettevano a loro disposizione. Tra quei frutti, abbondantissimi, ve ne era uno in particolare, ricoperto di piccole e fastidiosissime spine, ma inaspettatamente dolce e saporito, che si rivelò subito come un rimedio efficacissimo contro lo scorbuto, la malattia che decimava gli equipaggi nei lunghi viaggi per mare.
Un eccellente motivo per caricare piante e frutti sulle navi con l'intento di servirsene nel viaggio di ritorno in Europa. Nessuno di loro sospettava che le guarigioni fossero dovute alla Vitamina C, scoperta solo qualche secolo più tardi, presente in grandi quantità nei dolci frutti.
Il primo approdo dalle nostre parti fu Lanzarote nelle Isole Canarie, dove le piante attecchirono senza fatica. Gli uccelli migratori fecero il resto. Beccavano i frutti, mangiandone polpa e semi e poi… eliminavano in volo questi ultimi con la digestione. Dove i semi cadevano, nasceva e si diffondeva la prodigiosa pianta. I territori più vicini alle Canarie? Quelli che si affacciano sul Mediterraneo, tra cui Sicilia, Calabria, Puglia, l'Italia del Sud, l'Africa del Nord. Ma che nome dare ai frutti di quella miracolosa pianta? Erano dolci come fichi, venivano dalle Indie, quindi fichi d'India. In Francia divennero figues de Barbarie, poiché provenivano da paesi barbari, come le terre selvagge appena scoperte.
Da “fico d'India” a “ficodindia” il passo è stato breve. Le piante nascevano e si moltiplicavano spontaneamente e non necessitavano di cure particolari. Fu così che il ficodindia si diffuse dappertutto intorno alle coste del Mediterraneo, dove sembra aver trovato l'habitat ideale.
Ormai siamo fuori stagione per gustare l'originale esotico sapore del ficodindia, ma se vi capiterà un altr'anno, non esitate ad assaggiare questo frutto a mio giudizio eccezionale. In ogni caso, che vi piaccia oppure no, avrete sempre sulle labbra qualcosa del ficodindia: il carminio del rossetto che vi rende così affascinanti e desiderabili.