LA FORCHETTA, QUESTA (S)CONOSCIUTA

La prima volta che il papà di quella che poi sarebbe diventata mia moglie, un signore francese vecchio stampo, è venuto a cena a casa mia, l'ho visto esitare prima di prendere posto a tavola. In piedi, si è messo a fissare qualcosa che lo infastidiva e sembrava metterlo a disagio. Ha girato lo sguardo intorno, come per accertarsi che nessuno stesse seguendo le sue mosse, poi con un gesto rapido, quasi furtivo, ha afferrato ognuna delle forchette alla sinistra dei posti a tavola e le ha rovesciate, in modo che i rebbi della posate non fossero più rivolti verso l'alto, ma poggiassero sulla tovaglia. Poi, soddisfatto, si è messo a sedere: missione compiuta!

40998af837205df17f3c0036d6abf747Il perché di quel gesto me lo ha spiegato mia moglie più tardi. Il suo papà, custode di antiche tradizioni familiari, trovava insopportabile vedere quelle forchette con le punte rivolte verso l'alto.  In qualsiasi manuale sulla cosiddetta “art de la table”, infatti, si consiglia di porre le forchette con i rebbi rivolti in basso. E ciò per due motivi: il primo è che le punte acuminate dei rebbi potrebbero inavvertitamente ferire le dita del commensale, magari distratto dalla conversazione o da qualcos'altro. Il secondo motivo riguarda la visibilità delle cifre incise su ogni posata: due o più lettere che sono le iniziali del nome del padrone di casa o della casata ospitante. In genere sono incise sul retro del manico delle posate, che si tratti di forchette, cucchiai o coltelli.

Che esagerazione, roba d'altri tempi, penserete voi. Ma provate a considerare che nelle grandi famiglie di un tempo, un pranzo o una cena erano occasioni per ritrovarsi con parenti o amici importanti a cui si doveva rispetto. La tavola era quindi apparecchiata con tovaglie di finissimo lino o altri tessuti pregiati, decorate con ricami riproducenti motivi floreali o altro. I piatti e le altre stoviglie di portata erano di fine porcellana e i bicchieri, le caraffe e le bottiglie erano di smagliante cristallo. Per conseguenza, le posate erano preziosi oggetti d'argento, finemente lavorati e con preziose incisioni.

In quanti romanzi d'epoca, in quanti film d'avventura abbiamo seguito la trama che girava intorno a un furto di argenteria? Personale infedele o ladri professionisti che rubavano posate e altra argenteria per poi rivenderla e ricavarne denaro. Ma se quegli oggetti portavano inciso su ogni pezzo le iniziali del legittimo proprietario, rivenderlo diventava difficile se non impossibile. Ecco un altro valido motivo a giustificare la presenza di quelle iniziali incise sul retro di ogni posata.La-storia-della-forchetta-fra-scandali-ostentazioni-di-ricchezza-e-i-sermoni-di-un-santo-3

Ma torniamo alla forchetta. Quando è nata, chi l'ha inventata, chi l'ha usata per la prima volta? Le origini di questo comunissimo oggetto che fa parte della nostra vita di ogni giorno sono incerte e si perdono nelle nebbie di un passato lontanissimo.

Intanto, fino a quando il cibo da portare alla bocca è stato esclusivamente crudo, essendo sconosciuta la nozione di cotto e quindi di bollente, con conseguente pericolo di ustioni alle dita e alle labbra, il problema di come prenderlo, anche in piccoli pezzi, non si poneva. Le dita erano più che sufficienti a svolgere le funzioni richieste. Un frutto, un tubero, delle foglie o altro era facilissimo portarli alla bocca. Poi arrivò il fuoco e cominciarono i problemi.

Come fare a tenere sulla fiamma un pezzo di carne per farlo cuocere? E come prenderlo, dalla brace per esempio, per poterlo mangiare? Dapprima si usarono rami sottili,forchetta-idee-con-gusto poi pezzi di legno con una punta acuminata a colpi di pietra. E infine le lame di metallo, taglienti e appuntite: i coltelli.

Sempre più lavorati e raffinati, fino a diventare pugnali, stiletti, ecc., i coltelli servirono per molto tempo a svolgere funzione di portatori di bocconi, anche se si mostravano spesso pericolosi e certamente non alla portata di tutti. Così le dita rimasero a lungo gli strumenti più adatti a prendere cibo per portarlo alla bocca.

Antich RomMa gli antichi romani, sempre raffinati e innovativi, quando si accorsero che i cibi diventavano più saporiti se avvolti in salse e sughi vari, si trovarono ad affrontare un nuovo problema. Prendere un pezzo di carne, di pesce o di verdura che galleggiava in una ciotola piena di sugo significava sporcarsi abbondantemente le dita. I nobili trovarono subito la soluzione: si fecero confezionare lunghi ditali di argento per le prime tre dita della mano destra e in questo modo potevano “pescare” bocconi in qualsiasi recipiente, con o senza sughi.

Da qualche parte, tuttavia, come è provato da numerosi ritrovamenti archeologici conservati anche in musei italiani, qualcuno aveva “inventato” una specie di forchetta a due o tre rebbi. E mentre dall'Impero Romano d'Occidente non è arrivato fino a noi alcun tipo di forchetta, dall'Impero d'Oriente, dove fu ritenuto “oggetto lussuoso”, una qualche forma di forchetta arrivò anche da noi ad opera di viaggiatori veneziani. I primi esemplari furono una sorta di spiedi metallici a due punte che servivano ad infilzare piccoli frutti come i datteri ed erano chiamati lingula o ligula.

Fu soltanto all'inizio dell'XI secolo che la forchetta arrivò in Occidente, grazie a una nobildonna bizantina, la principessa Maria Argyropoulaina, che andò sposa al forchetta 03 intdiciannovenne Giovanni Orseolo, figlio del doge veneziano Pietro II Orseolo. Ma quello strano oggetto fu ritenuto diabolico da alcuni alti esponenti della Chiesa dell'epoca, che ne condannarono l'uso e lo misero al bando. Un analogo tentativo di introdurre l'uso di forchettine d'oro a due o tre rebbi, voluto da Teodora, moglie del doge Domenico Silvo, fu condannato da San Pier Damiani che si sentì confortato nella sua decisione dalla morte improvvisa della dogaressa, uccisa dalla peste dilagante ma considerata tout court vittima di una meritata punizione divina.

Solo qualche centinaio d'anni più tardi, nel XIV secolo, nel Regno di Napoli apparve una sorta di punteruolo in acciaio che venne a sostituire un analogo strumento in legno adoperato per mangiare nella migliore maniera un cibo di recente apparizione: la pasta, calda e scivolosa appena cotta.

Botticelli nastagio4Se a Napoli era diventato quasi di uso comune, a Firenze, quell'innovativo strumento cominciava ad essere usato nelle grandi casate, quali la famiglia Pucci, come testimonia una tela di Sandro Botticelli (1445-1510) che lo riproduce nella scena delle nozze di Nastagio degli Onesti, dipinto commissionato come regalo di nozze da Lorenzo il Magnifico nel 1483.

E sempre a un membro della famiglia de' Medici si deve l'introduzione in Francia delle forchetta. Caterina (1519-1589), figlia di Lorenzo, duca di Urbino, e della francese Maddalena de La Tour d'Auvergne, andando all'età di soli quattordici anni sposa al coetaneo Enrico II di Francia, si trasferì a Parigi dove introdusse usi e costumi allora in voga a Firenze. Le forchette portate così alla corte di Francia erano state disegnate nientemeno che dal grande Benvenuto Cellini.

Ma la diffusione della forchetta in Francia non fu molto rapida. Perfino il Re Sole preferiva continuare ad usare le Caterina de Medicidita e fu solo dopo il trasferimento della sua corte a Versailles nel 1684 che si decise, grazie a precise regole che egli stesso volle imporre, ad utilizzare la forchetta.

Grande opposizione all'uso di tale insolito aggeggio a tavola, fu dovuta all'atteggiamento dalla Chiesa che contrastò in ogni modo l'avanzare del progresso. Fu solo a partire dal 1700 che le autorità ecclesiastiche rividero la loro posizione e cominciarono ad autorizzare l'uso della forchetta perfino tra le mura dei conventi.

Ferdinando IV di BorboneSolo nel 1770, a Napoli, Ferdinando IV di Borbone, detto Re Nasone, un sovrano simpatico e bonaccione che amava mangiare spaghetti ma non poteva evitare di sporcarsi le dita, ordinò al suo ciambellano di corte, Gennaro Spadaccini, di trovargli una soluzione. E così fu. Lavorando con altri operai di corte, Spadaccini decise di aggiungere un quarto dente alla forchetta, di dare una curvatura uniforme a tutti i denti, in modo che potessero accogliere meglio quei fili di pasta e rigirarli fino a portarli alla bocca di chi la usava. Il re ne fu entusiasta e d'un colpo la forchetta divenne di uso comune.

E da Napoli invase tutto il mondo.



 

 

Copyright foto esterna: internet;

Copyright foto interne:

1. Christofle;

2. Forchetta collezione privata;

3. Foto internet;

4. "Il pasto" e "Banchetto dei sensi". Miniature dal "De Universo" di Rabano Mauro,Montecassino, sec.X-XI

5. Foto internet;

6. "Nozze di Nastagio degli Onesti" di Botticelli, Palazzo Pucci a Firenze;

7. "King Philip II of Spain banqueting with his family" di Alonso Coello;

8. Ritratto di Ferdinando IV di Borbone;    

Letto 701 volte Ultima modifica il Lunedì, 03 Febbraio 2020
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Bepi Marzulli

Barese di nascita, studi superiori a Torino e Roma, la sua città di adozione, Bepi Marzulli è iscritto all'Albo dei Giornalisti dal 1977. Le origini familiari, radicate nell'imprenditiorialità di cinema e teatro, gli hanno consentito, giovane studente universitario, di accostarsi al mondo dell'editoria scrivendo numerosi soggetti e sceneggiature per la più importante casa editrice di fotoromanzi, la Lancio, di cui, anni dopo, è stato Direttore Generale. Ha lavorato per molti anni a Parigi, a capo della Rusconi France, dirigendo riviste di moda come Femme e Mariages, di arredamento, Décoration Internationale, e di archeologia come L'Archéologue e Archéologie Nouvelle

Tornato a lavorare in Italia, ha creato e dirige da oltre vent'anni Axioma, una società di outsourcing editoriale che produce periodici e contenuti giornalistici per Editori come Mondadori, Rizzoli Rcs, Cairo. Collabora con varie testate, scrivendo di vari argomenti tra cui enigmistica e gastronomia.

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